La malattia cardiovascolare: quando la causa è l’infiammazione
Le malattie cardiovascolari oggi rappresentano la prima causa di morte nel mondo: tuttavia, non è sempre stato così. Nella prima parte del secolo scorso, erano le malattie infettive a provocare il maggior numero di decessi, in particolare la polmonite. In quell’epoca, infatti, non c’erano ancora medicine sufficientemente efficaci a curarle: fu solo dagli anni ‘30 con la scoperta della penicillina e, in seguito, degli antibiotici che man mano si riuscirono a debellare malattie temutissime. In parallelo, però, si osservò un aumento delle malattie cardiovascolari.
Se è vero che gli antibiotici hanno avuto un ruolo molto importante, oggi ci sono studi che cercano di comprendere quanto questi farmaci possano essere complici dell’instaurarsi dell’infiammazione cronica che porta alle patologie cardiache.
Quando pensiamo all’organismo umano, spesso immaginiamo che le varie parti del corpo funzionino in modo indipendente, ma la realtà è che ogni sistema è connesso agli altri. Gli effetti degli antibiotici, ad esempio, si estendono ben oltre il loro compito primario, ovvero combattere le malattie, tant’è che colpiscono anche la nostra flora intestinale. Quando la comunità di microbi che vive nel nostro intestino viene alterata o distrutta dagli antibiotici, l’infiammazione diventa inevitabile e può estendersi a tutto l’organismo.
Tale concetto va al di là della visione tradizionale che vede le malattie cardiovascolari come conseguenza di stili di vita non salutari. Se è vero che esistono dei fattori predisponenti, si è però osservato come circa il 15% delle persone colpite da queste patologie non presenta i classici fattori di rischio, come colesterolo alto, ipertensione, obesità o sedentarietà. Ciò implica che altri fattori, tra cui l’infiammazione, possono avere un ruolo importante nello sviluppo di queste malattie.
Ciò sarebbe avvalorato dal fatto che anche persone con livelli normali di colesterolo possono essere a rischio di malattie cardiovascolari se soffrono di infiammazione cronica.
Gli studi sul rapporto tra infiammazione e malattie cardiovascolari
Alcuni studi recenti hanno dimostrato che agire direttamente sull’infiammazione può ridurre il rischio di infarto anche senza abbassare i livelli di colesterolo. Ad esempio, un farmaco che agisce su una specifica molecola infiammatoria, chiamata IL-1β, può ridurre significativamente il rischio cardiovascolare in pazienti che avevano già avuto un infarto, senza però modificare i livelli di colesterolo.
Tuttavia, il legame tra infiammazione e malattie cardiache è bidirezionale: non solo l’infiammazione contribuisce allo sviluppo delle malattie cardiache, ma anche queste malattie causano un aumento dell’infiammazione nel corpo. Questo crea un circolo vizioso: l’infiammazione alimenta le malattie cardiache, e queste, a loro volta, perpetuano ulteriormente l’infiammazione.
Un esempio di questo processo è la formazione delle placche aterosclerotiche. Quando il colesterolo LDL, noto anche come colesterolo cattivo, si infiltra nelle pareti delle arterie, subisce una modifica che attiva il sistema immunitario. Le cellule immunitarie, come i macrofagi, vengono richiamate per eliminare il colesterolo accumulato, ma questo processo porta alla formazione di placche, note come placche aterosclerotiche. Queste placche si accumulano sulle pareti delle arterie, rendendole più rigide e restringendo il flusso sanguigno.
Nel tempo, le placche possono rompersi, esponendo il loro contenuto al flusso sanguigno. Questo processo attiva ulteriormente il sistema di coagulazione del sangue, portando alla formazione di coaguli o trombi. Se un trombo blocca completamente un’arteria, il flusso di sangue viene interrotto, causando un infarto o un ictus, a seconda della posizione dell’arteria colpita.
A questa condizione si aggiunge il fatto che l’infiammazione cronica sistemica può aumentare i livelli di colesterolo LDL in circolazione, creando un danno continuo.
In questo modo, l’infiammazione non solo contribuisce alla formazione e all’evoluzione delle placche, ma le malattie cardiovascolari stesse perpetuano l’infiammazione, aggravando ulteriormente lo stato di salute del paziente e aumentando il rischio di eventi cardiovascolari acuti.
Uno studio recente[1], pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology, ha messo in luce come la presenza di malattie infiammatorie sistemiche sia associata a un aumento del rischio di infarto miocardico e a una maggiore mortalità a lungo termine tra giovani adulti che hanno subìto un infarto. Nella coorte studiata, composta da individui con un’età inferiore o uguale a 50 anni, si è notato che il 2,5% aveva una diagnosi di malattia infiammatoria sistemica e presentava un rischio di mortalità significativamente più alto rispetto ai pazienti senza questo tipo di patologia.
Ciò confermerebbe che l’infiammazione sistemica, in particolare nei giovani, rappresenta un importante fattore di rischio per la salute cardiovascolare e può avere un impatto significativo anche in assenza di fattori di rischio tradizionali.
Di conseguenza, per affrontare il problema delle malattie cardiovascolari non possiamo limitarci a intervenire solo su fattori come il colesterolo o la pressione arteriosa. Dobbiamo anche considerare l’infiammazione e ciò che la provoca.
[1] https://academic.oup.com/eurjpc/article/29/2/352/6168859
Quando l’infiammazione è provocata dal contesto sociale
L’infiammazione cronica, se da una parte è senza dubbio innescata da fattori biologici individuali, dall’altra può essere provocata o peggiorata dalle condizioni sociali ed economiche in cui le persone vivono. Stress cronico, disuguaglianze economiche, mancanza di accesso a cibo sano e inquinamento sono tutti fattori che contribuiscono a creare un terreno fertile per l’infiammazione sistemica, aumentando così il rischio di malattie cardiovascolari anche in persone che non presentano fattori di rischio tradizionali.
In tal senso, è indispensabile che le misure correttive non siano solo individuali, ma collettive. La scelta di fare movimento fisico e di avere una vita sana, per quanto importante, non è sufficiente a contrastare gli effetti dell’infiammazione cronica quando questa è scatenata dagli stress quotidiani, dalle difficoltà economiche e da eventi traumatici, che possono andare dalla discriminazione al degrado ambientale. Per affrontare alla radice questo problema è necessario migliorare le condizioni di vita delle persone, intervenendo sull’accesso alle risorse e sulla protezione dell’ambiente.
La stessa scelta alimentare è un altro fattore da non sottovalutare, in quanto può essere interpretata anche da un punto di vista collettivo: le abitudini alimentari contemporanee includono un ampio utilizzo di cibi ultra-processati che sono responsabili, insieme ad altri fattori, dell’acidosi metabolica. L’abbondanza di zuccheri raffinati e proteine animali non solo hanno un impatto dannoso per l’ambiente, ma anche per la salute e per l’infiammazione.
Agire sull’infiammazione significa, dunque, ripensare le nostre scelte collettive, dalla gestione delle risorse ambientali al modo in cui affrontiamo le disuguaglianze sociali fino all’alimentazione per garantire a tutti un futuro più sano.
Fonti:
Rupa Marya e Raj Patel, Infiammazione. Medicina, conflitto e disuguaglianza, 2022, pp. 88-90