Come affrontare un attacco di panico
“Calmati!”, “Devi stare tranquillo”, “Non c’è niente di cui preoccuparsi”, “È solo ansia” sono alcune delle frasi più ricorrenti che si rivolgono alle persone che stanno vivendo, o che hanno vissuto, un attacco di panico.
Sebbene spesso pronunciate con le migliori intenzioni e indirizzate da un sostanziale buon senso – di fatto, è vero che, tendenzialmente, durante un attacco di panico non si è in pericolo di vita –, è altrettanto vero che questo atteggiamento non solo non serve a calmare chi è in ansia, ma spesso è controproducente.
Sottolineare che non c’è nulla di cui preoccuparsi, infatti, non fa che sminuire le sensazioni che sta provando chi vive un attacco di panico. In quei momenti, inoltre, la paura che il soggetto prova non è diversa da quella che proverebbe di fronte a un pericolo reale e i sintomi fisici lo provano.
Come affrontare un attacco di panico, pertanto, è una domanda più che lecita, sebbene la risposta non sia così semplice.
Il ciclo del panico: come si sviluppa
Premesso che ogni attacco di panico è una storia a sé, così come per tutto quello che riguarda la mente e l’organismo umano, vi sono dei tratti comuni che possono essere osservati durante un attacco di panico.
La definizione “ciclo del panico” deriva dall’osservazione che alcune sensazioni che lo contraddistinguono agiscono in una sorta di circolo vizioso, autoalimentandosi.
In genere, il processo si attiva con una serie di fattori scatenanti che possono variare da individuo a individuo e che possono essere sia interni, ovvero pensieri e sensazioni fisiche, sia esterni, nel caso di situazioni o eventi stressanti o veri e propri traumi.
Questi fattori scatenanti danno luogo alla percezione di una minaccia: a seconda di qual è lo scenario temuto, per esempio perdita del controllo, paura di morire, etc., il soggetto inizia ad avere la sensazione che qualcosa di pericoloso stia per avvenire.
Tale percezione attiva una serie di risposte innate da parte del cervello, che innesca il cosiddetto meccanismo attacco/fuga: battito accelerato, tremori, sudorazione, rigidità muscolare etc.
Il soggetto, che si accorge di un cambiamento del proprio stato, interpreta tali sintomi come potenzialmente catastrofici (“mi sta venendo un infarto?”, “sto perdendo il controllo?”, “rischio la vita?”), subendo un aumento dell’ansia nella convinzione, percepita come sempre più reale, che ci sia qualcosa che non davvero va.
Questa interpretazione – che si basa sul paradosso secondo il quale la minaccia reale non c’è, ma i sintomi fisici sono reali, eccome! – porta al panico.
Per evitare che si realizzino altri attacchi il soggetto tende, poi, a mettere in atto comportamenti autoprotettivi e di evitamento: l’attenzione stessa posta verso queste situazioni non fa che dar loro potere, non solo mantenendo il ciclo del panico, ma rafforzandolo.
Il paradosso dell’orso polare
L’esperimento condotto dal professore di psicologia di Harvard, Wegner, riprendendo un aneddoto raccontato da Dostoevskij, ebbe come obiettivo l’analisi della capacità di allontanare dalla mente un pensiero sgradito.
Chiedendo a un gruppo di volontari di non pensare all’orso polare citato da Dostoevskij, si scoprì che nessuno di loro era in grado di allontanare dalla propria mente tale pensiero. Anzi, il tentativo di sopprimere un pensiero, infatti, aveva scatenato proprio il pensiero.
Tale meccanismo è molto presente nell’attacco di panico: cercare di evitare l’ansia, in realtà, le dà forza e rende più difficile spezzare il ciclo del panico.
Per affrontare l’ansia e il disturbo da panico, dunque, non serve non pensarci, così come non servono né gli evitamenti, né gli atteggiamenti iperprotettivi. Anzi, tutto ciò si rivela, inevitabilmente, controproducente.
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Affrontare un attacco di panico: è possibile spezzare il ciclo dell’ansia?
Partendo dal presupposto che ogni situazione è a sé e che, soprattutto quando gli attacchi di panico non sono sporadici ma si trasformano in disturbo da panico, condizionando la vita, è bene rivolgersi a uno specialista, tuttavia, vi sono alcune strategie che possono essere utili.
Tralasciando i guru e la retorica del “volere è potere”, le teorie di psicoterapia e le conseguenti tecniche sono numerose. Come sempre avviene quando si parla di psicologia, non c’è una soluzione ideale né perfetta per tutti: tutto sta a trovare il proprio modo per affrontare queste difficoltà.
Tuttavia, è riconosciuto che l’esposizione al pensiero sgradevole o alla situazione temuta, permettendo alla paura di entrare nel flusso di coscienza, è utile a diminuirne la forza. In genere, la ripetizione dell’esposizione, secondo la psicologia cognitiva-comportamentale, innesca un circolo virtuoso, contrario a quello del circolo vizioso del panico, in cui le constatazioni che si è in grado di affrontare la difficoltà, che non accade nulla di così pericoloso e che, al massimo, si può vivere una sensazione spiacevole sgonfiano l’ansia.
Anche le pratiche come la mindfulness e lo yoga si rivelano molto efficaci: rafforzando il controllo mentale, in modo gentile e non giudicante, aiutano a prendere le distanze dai pensieri ossessivi, senza tuttavia tentare di farlo. Ciò avviene grazie a una serie di esercizi che non invitano a non pensare ciò che si teme ma a riportare continuamente l’attenzione sul respiro, senza esprimere un giudizio su di sé. L’ancorarsi al respiro permette di avere con sé uno strumento sempre presente per riportare la calma e controllare la mente.
Ci sono poi altre buone pratiche, come svolgere attività fisica costantemente, evitare gli atteggiamenti multitasking e non abusare di strumenti tecnologici come smartphone, che aiutano a migliorare la sensazione di benessere e a potenziare le proprie capacità di affrontare le difficoltà, con conseguenti ricadute positive sulla propria autostima.