Lo sport è uno solo: lo sport paralimpico contro i pregiudizi
Si sono chiuse da poco le Paralimpiadi Tokyo 2020, che hanno visto risultati sorprendenti da parte dei nostri atleti. Si è trattato, per l’Italia, di un’edizione da record, durante la quale si sono ottenute 69 medaglie, superando il record di Seul 1988.
Tra le tante medaglie, spiccano la tripletta nei 100 metri femminili, nei quali l’Italia ha ottenuto l’oro con Ambra Sabatini, l’argento con Martina Caironi e il bronzo con Monica Contrafatto, e le 39 medaglie ottenuta dalla squadra di nuoto.
Tuttavia, la sensazione è che non sempre a queste competizioni e agli atleti che vi partecipano venga dato il giusto apprezzamento e la sufficiente attenzione mediatica.
Proprio per superare i pregiudizi e le disparità sono numerosi gli atleti che hanno lanciato il messaggio “lo sport è uno solo”.
Francesca Cipelli, atleta che a Tokyo 2020 è riuscita ad ottenere il nono posto nella sua categoria del salto in lungo, ha lanciato un messaggio chiaro, sottolineando che “siamo tutti solo atleti. E basta.”
Lo sport è uno solo: siamo tutti solo atleti
Il messaggio lanciato da Cipelli è suffragato dai propri studi universitari: laureata in Scienze dell’educazione, ha incentrato la propria tesi di laurea sullo sport paralimpico come valorizzazione della diversità. I temi trattati sono rivoluzionari pur nella loro semplicità: l’atleta ha esaminato, per esempio, il concetto di “diversità in quanto normalità”, l’uso della terminologia e l’equità delle possibilità tra normodotati e paralimpici nell’ambito sportivo.
L’attività sportiva, dunque, può diventare l’ambito privilegiato dal quale partire per contrastare le diversità e promuovere l’inclusione.
Proprio in questa mentalità si inserisce il progetto di Bebe Vio, due volte oro paralimpico nel fioretto, la quale ha creato addirittura una Academy, la Bebe Vio Academy, nella quale l’insegnamento e la pratica sportiva non sono destinate unicamente a chi ha disabilità ma anche ai normodotati.
La ratio con cui la campionessa ha creato questa scuola è quella secondo cui allenarsi assieme porta giovamento a tutti: chi non ha disabilità può migliorare la propria tecnica allenandosi sulla sedia a rotelle e confrontandosi con i propri colleghi di specialità.
Nella mission della Academy è specificato come i bambini con disabilità fisiche “avranno la possibilità, per alcuni mesi all’anno, di sperimentare cinque diverse discipline sportive paralimpiche, il tutto in maniera integrata con bambini e ragazzi senza disabilità.”
Sperimentare le discipline paralimpiche da parte dei bambini cosiddetti normodotati rappresenta la vera scommessa per portare alla possibilità di cambiamento e di integrazione.
Ecco perché la stessa Cipelli sostiene come lo sport paralimpico non deve avere unicamente la funzione di recupero e di mantenimento dell’abilità fisica, ma anche di agire a livello di educazione inclusiva rivolta non solo a una fascia di atleti ma a tutta la comunità sportiva e non.
Lo sport paralimpico per cambiare mentalità
Cambiare mentalità è l’obiettivo di entrambe le atlete paralimpiche. Le statistiche dimostrano come meno del 10% delle persone con disabilità si dedichi alle attività sportive contro il 36,6% della popolazione generale.
Sensibilizzare fin da piccoli i ragazzi affinché vengano superate le barriere che ostacolano le persone con disabilità nella pratica sportiva è importantissimo. Cipelli a questo proposito da 5 anni racconta la sua esperienza sportiva e di vita nelle scuole. Non si tratta solo di conquistare le persone che non hanno disabilità affinché non cadano nella facile discriminazione, ma anche di lanciare un messaggio positivo che vale per tutti: non arrendersi di fronte ai limiti che vengono imposti erroneamente dalla società.
Francesca racconta come le difficoltà maggiori che ha affrontato nella sua vita non si limitino al suo incidente e alla disabilità che ne è conseguita, ma si siano concretizzate nel momento dell’ingresso alle scuole superiori quando venne bullizzata per la sua disabilità. Proprio lo sport, la para atletica, è stata la risposta positive e ha rappresentato il mezzo per uscire da quello che lei stessa definisce “la parte più buia della mia vita”.
Tuttavia, se lo sport ha un enorme potere inclusivo, ciò non toglie che nella società, così come nel mondo sportivo stesso, ci siano ancora delle grandi lacune. Spesso è proprio il termine diversità a creare stereotipi e a porsi come contrario al concetto di uguaglianza: ciò che dovrebbe cambiare non è il termine in sé, ma il concetto ad esso legato. Il concetto di diversità, infatti, dovrebbe essere interpretato come risorsa e non come limite.
Ecco perché la mancanza di inclusione passa anche per il pietismo: una finta bontà che considera comunque inferiore chi ha una disabilità. Il messaggio di Francesca, e degli atleti che come lei sono attivi nella sensibilizzazione, è che lo sport è uno solo e gli atleti sono tutti uguali. Proprio per questo nella Academy di Bebe Vio si allenano tutti assieme, imparando ad imparare da tutti e ad eliminare qualsiasi disparità attraverso il gioco e lo sport.